Compito dell'educatore non è dare un'identità al bambino ma aiutarlo nel processo di costruzione della propria personalità. In questo senso lo sviluppo di un bambino non è il risultato di un'azione pedagogica isolata, ma di una didattica e di un progetto educativo continui e globali, che coinvolgono l'ambiente familiare, lo spazio sociale e le strutture educative e scolastiche. La disinformazione sul sistema scolastico, le difficoltà legate al linguaggio, il timore di essere vittime di pregiudizi, rappresentano solo alcuni degli innumerevoli fattori che rendono estremamente difficile per i genitori stranieri collaborare con la scuola alla formazione dei propri figli. Vi è, da una parte, una considerevole aspettativa riguardo all'inserimento ed alla riuscita scolastica dei figli, dall'altra l'incapacità a seguirli e sostenerli nella loro carriera scolastica. Gli atteggiamenti dei genitori, costantemente oscillanti fra la stabilizzazione nella nuova terra e la nostalgia delle proprie radici, si proiettano sul bambino e influenzano in maniera profonda il processo d'integrazione a scuola con i coetanei locali. Nei primi mesi gli alunni stranieri se ne stanno perlopiù chiusi in se stessi, limitandosi ad osservare quanto accade intorno a loro, evitando di esporsi o di prendere iniziative: devono imparare a conoscere la nuova scuola, le regole del contesto, il proprio ruolo al suo interno. Tutto ciò crea inevitabilmente un conflitto d'identità nel bambino che cercherà di risolverlo accentuando il valore che dà alla famiglia, alla scuola, all'amicizia. Spesso devono ancora imparare l'italiano, prima per giocare e per comunicare con gli altri, poi per studiare, per esprimere idee e concetti. L'alunno straniero riceve inevitabilmente (in termini positivi o negativi che siano) una maggior attenzione sia dai propri coetanei che dagli adulti. Egli percepisce presto "la differenza" e su questa percezione imposta i pilastri della propria personalità, della propria appartenenza. Si ha spesso la tentazione di leggere in chiave puramente didattica la riuscita o il fallimento della scolarizzazione dei bambini stranieri, quando occorrerebbe invece considerare più attentamente gli aspetti psicosociali ed affettivi. L'insegnante non può, ovviamente, conoscere tutte le culture e le lingue di tutti i suoi possibili allievi, ma deve essere pronto ad affrontare la complessità delle differenze culturali, deve avere punti di riferimento teorici e strumenti metodologici che lo mettano in grado di cogliere la potenzialità di tali differenze e di introdurre nel suo insegnamento la loro valorizzazione. Indipendentemente dalla presenza fisica nelle classi di alunni appartenenti ad altre culture, un'educazione che sia all'altezza dei problemi di una società complessa e mobile, come è la nostra, non può che prospettarsi come interculturale, con tutte le valenze, in parte ancora inesplorate, che questa prospettiva comporta. Sviluppare la tolleranza e la comprensione reciproca tra gli allievi e gli insegnanti di contesti linguistici e socio-culturali diversi, contribuendo quindi in modo diretto alla lotta contro il razzismo e la xenofobia, è l'obiettivo verso cui dobbiamo tendere. Per far ciò fra le tante attività previste figurano sempre più lo studio comparativo delle culture, nonché le attività volte a facilitare lo sviluppo della comunicazione interculturale e la comprensione delle differenze culturali. |